A metà anni Sessanta il feudo era in dissesto finanziario. La marchesa Giuseppina lo ha salvato, ha portato l'acqua, ha trattato con i contadini, ex schiavi e ora padroni di terre. Oggi Tudia ospita un moderno agriturismo e commercia prodotti bio. "E il figlio della marchesa - dicono in paese - è diventato più comunista di noi"
Saro Meli, figlio di Mariano e nipote di Saro, uno di quelli che vivevano nei "pagliari". Prima suo padre e poi lui hanno continuato a coltivare la terra. Ma questa volta, la loro terra. I Meli l’hanno comprata all’inizio degli anni Sessanta e ci hanno campato dignitosamente già da due generazioni. L’elettrificazione delle campagne, l’attuazione della Riforma agraria, le prime macchine. Adesso Rosario, nipote di Rosario, che si è diplomato all’Istituto tecnico agrario di Caltanissetta, ha una grande azienda proprio sotto la chiesa sconsacrata del feudo di Tudia. Suo padre Mariano, che è morto da alcuni anni, diceva sempre: "Sissignori, sono un pidocchio riuscito che si è fatto con le sue mani. Pidocchio è l’insulto che mi ha gridato un figlio dei padroni che all’inizio tentò di portarmi via le terre accampando un diritto di proprietà. Abbiamo sopportato una vita, abbiamo chinato il capo per una vita, ma alla fine abbiamo vinto. Adesso con i padroni abbiamo in comune la terra. In più però noi sappiamo quanto vale un uomo e la sua dignità. Ecco perché noi cresceremo di più dei nostri padroni". I Meli hanno oggi hanno più di 60 ettari, ai confini di Tudia.
In verità Mariano, dimenticando le angherie subite dai don Liborio e dai don Vittorio, ha cominciato la sua nuova vita da contadino in società con l’ex padrona, la signora Giuseppina Di Salvo, "la marchesa". Era il 1965 quando lei ha preso in mano le sorti del feudo, travolto da un dissesto finanziario, e con le unghie e con i denti ha cercato di salvarlo. Ha portato l’acqua, ha fatto piantare i vigneti, ha voluto i peschi sulle gobbe della collina più lontana, ha combattuto fino allo stremo per non far morire Tudia. Oggi il feudo è ancora lei. E ogni mattina vuole vedere le sue vigne.
La scuola elementare non c’è più, e neanche la caserma dei carabinieri a cavallo, non c’è più la tabaccaia che si faceva la permanente ogni sabato giù in paese, la chiesa è coperta dai rovi, i magazzini abbandonati. Non ci sono più nemmeno i duecento schiavi di Tudia. Oggi qui, a otto chilometri da Resuttano, quaranta da Caltanissetta e centoquattro da Palermo, vivono la signora marchesa, il figlio Vincenzo "Sudir" De Gregorio e la sua compagna Gila Sinibaldi. Il baglio è diventato un bellissimo agriturismo. Dove fino a qualche decennio fa si ammassava il grano, adesso c’è una sala banchetti, un lungo tavolo coperto da ricotte fresche e pecorini primo sale, frittatine di zucchine, pomodori secchi, olive, cannoli. E vini bianchi e rossi del feudo di Tudia. In alcune bottiglie sono allineate essenze di erbe e di fiori, olio di calendula e olio di iperico. In altre ampolle, rosoli e liquori di finocchietto selvatico. In una parte della vecchia cantina c’è l’Hosho Center, uno stanzone enorme "dove si può meditare, cantare, danzare, stare a contatto con la natura".
Ma la vera sorpresa, nell’antico feudo degli schiavi, sono Brian e Nicole e Emy, ragazzi di vent’anni che vengono dagli Usa e dall’Inghilterra. Sono qui a Tudia da qualche settimana. Potano le viti, raccolgono melanzane, fanno marmellate, sbucciano piselli, preparano torte, puliscono attrezzi, riparano sedie, tagliano erba. Nell’ultimo anno di ragazzi come loro a Tudia ne sono passati più di cento. Canadesi. Polacchi. Cinesi. Francesi. Li chiamanoWwoofers, sono volontari giramondo per le fattorie biologiche dei cinque continenti. In cambio di vitto e alloggio offrono lavoro nei campi e nell’azienda agricola. Fuori da logiche mercantili, i Wwoofers sono arrivati anche in questa Sicilia alla ricerca del feudo che non c’è più e forse anche di se stessi.
La signora marchesa lancia uno sguardo sornione a Nicole, la bella ragazzina americana che serve a tavola la caponata. Il figlio Vincenzo intanto racconta il suo sogno: una Tudia che in futurò diventerà un po’ business e un po’ comune. C’è già l’orto biotantrico, ogni domenica vendono i loro prodotti nella piazza Marina di Palermo. A Tudia, oggi si può "adottare" anche un ulivo o un intero filare. E, in autunno, ricevere il suo olio profumato.
I vecchi contadini, che ci hanno accompagnato in questo viaggio nel cuore dell’isola tanto tempo dopo Franchetti e Sonnino e tanto tempo dopo i giornalisti dell’Espresso, hanno rivisto la loro Tudia e sorridono con malinconia. Uno di loro ci dice: "Il figlio della marchesa è diventato più comunista di noi. E’ proprio vero che il mondo si è capovolto". Così abbiamo lasciato il feudo dove una volta c’erano gli schiavi.
01 luglio 2011
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